Vita al Pop, bipersonale degli artisti ERETICA e DCGRAPHIC.
BI-PERSONALE DI ERETICA E DCGRAPHIC
DAL 24/02/2012 AL 8/03/2012
A CURA TOGACI
PROGETTO COMUNICATIVO
ALESSIO BRUGNOLI
selezione musicale ENEA
Il 24 febbraio l’Hula Hoop, il club eretico e irriverente nel cuore del Pigneto, in via De Magistris 91/93, prosegue la sua esplorazione del Contemporaneo con la mostra Lunga Vita al Pop, bipersonale degli artisti ERETICA e DCGRAPHIC.
Una mostra che afferma con forza due principi: l’attualità della Pop Art e la necessità di ampliare i confini di ciò che chiamiamo Arte.
Il Pop non è morto. Non è un ricordo nostalgico degli Anni Sessanta. Il Pop è anarchia. Il Pop è un grido di libertà.
ERETICA e DCGRAPHIC ci dicono questo, mostrando la vacuità delle icone con cui ogni potere ci rende schiavi-
Il secondo tema è nella dichiarazione d’orgoglio di chi fa arte digitale: non una sorella minore di media tradizionale, ma un linguaggio nuovo e di rottura. ERETICA e DCGRAPHIC non sono grafici, ma artisti vettoriali, alfieri di un modo nuovo di usare tavolozza e pennello che non modifica foto preesistenti, ma si parte da zero e si costruisce interamente a mano libera su computer.
Così nasce un mondo nuovo che mischiando linguaggio colto alla street art, costringe lo spettatore a riflettere su se stesso e sul suo ruolo nel mondo.
Perché, come diceva il buon vecchio Frank Zappa
La mente è come un paracadute: funziona solo quando è aperto
ALESSIO BRUGNOLI
Scrive :
A volte, pensando all’arte dell’ultimo secolo, mi viene in mente il panorama del Carso: una terra aspra e desolata che spaventa spesso il viaggiatore, ma cui, con un poco di pazienza, è possibile scovare delle esplosioni di bellezza. In cui bisogna evitare le trappole dei terreni franosi. Dove domina la sorpresa di fiumi sotterranei che scompaiono nel nulla, per riapparire improvvisamente ad enorme distanza.
Così, nel Novecento linguaggi e tendenze che parevano essere sfumate, distrutte dalla Storia, rinascono come araba fenice dalle proprie ceneri.
Penso all’espressionismo che ha cambiato tante volte nome. O alle declinazioni del Futurismo. Oppure alla Pop Art.
A prima vista, questa può sembrare un fenomeno morto e sepolto. Un qualcosa fiorito negli anni del boom economico, in cui la società era quasi ubriaca del il linguaggio di oggetti e simboli prodotto dalla Civiltà dei Consumi.
Ciò, più in America che in Europa, in cui il tutto è più problematico ed ambiguo, ha portato ad una esaltazione dell'immagine, del prodotto e dell'Icona pubblicitaria è visto come liberazione dagli incubi e dalle tragedie del passato. Un immenso esorcismo dalla paura di esistere, compiuto tramite il Denaro.
E ciò paradossalmente è avvenuto tramite l’utilizzo di alcune istanze dell’espressionismo astratto: la liberazione del l'Arte da ogni contenuto emotivo.
Ma a differenza di Pollock e compagni, la Pop Art non abbandona il Reale, inseguendo l'Idea platonica, ma lo identifica con l'Oggetto, a cui cerca di ridonare dignità estetica. Ciò provoca il capovolgimento del concetto di leggibilità di un'opera d'arte.
Si esce dal mondo percettivo, l’esperienza del singolo individuo, il cardine delle avanguardie, alla globalità del confronto con il quotidiano.
Nel quadro sono integrati emblemi, segni, frammenti. Immagine e vita non si contrappongono più, ma devono somigliarsi. Per la seconda l'immagine è referente. Il suo valore è nel dialogo con la Cultura e con la Storia.
Di tutto ciò cosa rimane ? A prima vista nulla… Da società opulenta, a volte volgare, ma piena di speranza e fiducia nel futuro, siamo passati ad una in crisi perenne, depressa e demoralizzata, con poca voglia di reagire alle sfide.
Il mondo reale, quello degli oggetti concreti, ha sempre minore centralità rispetto a quello del virtuale, delle icone che si propagano come memi nella rete.
Eppure la Pop Art, nelle sue declinazioni, surreal, new, social, ha una nuova vita. Tanti artisti contemporanei vi si dedicano.
Questo per la consapevolezza che il Consumismo. on ha realizzato l'utopia, ma ha creato nuove distorsione. E la nuova Pop Art non fa che esplorare il lato oscuro delle Icone che il mondo contemporaneo crea. Un’esplorazione che può avvenire in maniera conservativa, citando il passato. Oppure contaminando il tutto con linguaggi alternativi, da quelli arcaici delle fiabe a quelli ipercontemporanei del fumetto.
Può essere una rievocazione malinconica e piena di ironia, come quella di Dcgraphics e di Eretica. Lo so, molti mi guarderanno straniti e mi prenderanno per pazzo, dicendo
“Ma è soltanto grafica”
La stessa cosa che è successa ad un mio caro amico, uno dei più importanti artisti digitali italiani, che dopo il successo di una sua personale in una capitale europea, si è presentato al Centro d’Arte Moderna, diretto da un nostro connazionale che lo ha preso a pernacchioni.
Ebbene, io rivendico pienamente il suo diritto, quello di Dcgraphics e di Eretica di chiamarsi artisti. Tempi nuovi richiedono linguaggi e tecniche nuove. Fossilizzarsi nel passato, significa estinguersi. Come dicono in America
Change or die
L’Arte di di Dcgraphics e di Eretica ha la dote di coniugare due esperienza estetiche diverse: l’algida bellezza che richiama idealizzandolo il mondo passato dell’America di Happy Days e dell’infanzia e la sua dissacrazione.
Dissacrazione che nasce dal mostrare le cose come veramente sono, al di là di tutti gli infiocchettamenti che vogliamo aggiungerci: il potere anarchico dell’ironia.
E lo iato tra queste due percezioni differenti, costringe chi guarda a riflettere su stesso e sulla sua natura, minandone le certezze e ribadendo il valore profondo dell’Arte: non decorazione, ma riflessione profonda su se stessi, nel tentativo di diventare migliori.
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